Mission impossible.
Non si sta parlando dell’ormai “mitico” film di Tom Cruise assurto a “cult” movie (ormai siamo a 7, e a giugno 2024 uscirà in Italia Mission impossible 8), quanto al viaggio in Israele di Joe Biden. Almeno così gli osservatori giudicano l’iniziativa del Presidente Usa, preparata dal “tour de force” del “fidato” Segretario di Stato Antony Blinken, che ha girato in lungo e in largo, durante l’ultima settimana, il Medio Oriente, visitando 6 Paesi alla ricerca di un possibile punto di mediazione. Un viaggio, quello del Presidente americano, probabilmente dettato non solo dalla volontà di confermare il ruolo di “primo della classe” degli Stati Uniti, ma anche per “guadagnare punti” di fronte all’opinione pubblica internazionale, oltre che americana. Ricordiamoci che siamo alla vigilia dell’anno elettorale: non è evidentemente una novità cercare di “spostare” l’attenzione su vicende internazionali in un momento in cui le problematiche “interne” sono più complicate del previsto (la popolarità di Biden, negli Usa, è vicina ai minimi e lo “spettro” di Trump, per quanto possa sembrare incredibile, è tornato ad aleggiare pericolosamente per il leader democratico, dopo aver di fatto “eliminato” la concorrenza all’interno del partito Repubblicano).
Una missione resa ancora più difficile dalle drammatiche notizie provenienti da Gaza, dove ieri uno degli ospedali, diventati rifugi per la popolazione, “invitata” a lasciare le proprie abitazioni in vista dell’attacco da parte di Israele, è stato colpito da un missile causando centinaia di vittime. Come sempre succede, si assiste ora allo scambio di accuse, con le 2 parti in causa che puntano il dito sull’avversario per la strage. La prima, immediata reazione è che il re di Giordania e Abu Mazen, leader dell’ANP palestinese, hanno annullato la loro partecipazione. Di contro, Netanyahu ha affermato, per ora piuttosto “timidamente”, che Israele potrebbe anche non invadere Gaza.
Di certo quanto è successo ieri contribuisce a dare corpo alla tanto temuta “escalation”: non tanto, per il momento, intesa come un allargamento del conflitto, con il coinvolgimento di altri “attori”, quanto piuttosto nella direzione di una complicazione non di poco conto nelle trattative, probabilmente già in corso, di cui l’entrata in campo di Biden sono un’indiretta conferma.
Le vicende medio-orientali, ancora una volta, ci ricordano la “centralità” della geo-politica, per quanto una delle principali caratteristiche dell’essere umano sia la capacità di adattamento. Che, nel tempo, può portare all’assuefazione. Il caso del conflitto russo-ucraino è, in questo senso, emblematico. Per noi europei, quando iniziò, nel febbraio 2022, sembrò che da lì a poco la terza guerra mondiale fosse alle porte. A distanza di circa 20 mesi, probabilmente, nelle discussioni tra amici o bevendo un caffè, viene ben dopo la nuova “puntata” sul calcio scommesse o sul clima impazzito. Il “caso” medio-orientale indubbiamente fa storia a sé, in considerazione che periodicamente si ripete, ricordando quasi l’attività di quei vulcani in attività che, per quanto “dormienti” ogni tanto qualche preoccupazione la danno.
Elementi, quelli geo-politici, di cui evidentemente si deve tener conto quando si toccano le vicende economico-finanziarie, sia a livello di investimenti privati che di conti pubblici. Non a caso, soprattutto in alcune fasi storiche, gli analisti e gli investitori prendono in considerazione almeno 2 “scenari”: il “best case scenario” e, all’opposto, il “worst case scenario”. Il primo forse è il più “pericoloso”, inducendo chi lo prevede admere comportamenti e decisioni maggiormente rivolte al “rischio”, mentre il secondo non può che portare ad una cautela che potrebbe essere quasi eccessiva, “frenando”, a livello pubblico o societario, gli investimenti o portando gli investitori a scelte eccessivamente difensive.
Per quanto il nostro Governo continui a ripetere che la Legge di bilancio appena presentata abbia come “fondamenta” la cautela, in realtà si poggia su una valutazione di partenza che sembra non ne tenga molto conto. Parlare di una crescita dell’1,2% della nostra economia quando tutti, da Bankitalia al FMI alle società di rating, ci dicono di “andare cauti”, con stime ben più basse rispetto a quelle indicate nella Nadef, è un primo campanellino di allarme. Se poi ci aggiungiamo che per due terzi è in deficit se ne somma un altro. E se per l’altro terzo, o almeno per una parte, il Ministro dell’economia, “plenipotenziario” sull’argomento, arriva a dire ai suoi colleghi che se non ci pensano loro (ai tagli dei budget ministeriali) dovrà intervenire lui, con tagli lineari del 5% (una sorta di “m’do cojo cojo” pur di portare a casa il risultato), ecco che il quadro è completo.
Le crisi geo-politiche, in termini economico-finanziario, significano molte cose: PIL inferiori, non solo per i Paesi direttamente coinvolti, ma anche a livello globale, debiti pubblici che crescono, soprattutto per l’aumento delle spese militari, scambi internazionali in diminuzione, prezzi energetici destinati ad aumentare, e con loro l’inflazione, maggiore disoccupazione, ma, soprattutto, una sensazione diffusa di incertezza e precarietà. Tutte buone ragioni per “disinnescare” le tensioni medio-orientali e placare gli animi.
Tornando alla “nostra” manovra, viene da dire che se di cautela si parla, è riferita all’ammontare della manovra (€ 24 MD), più bassa, quindi, delle ultime, con l’obiettivo dichiarato di contenere un debito pubblico destinato a rimanere pericolosamente oltre un rapporto debito/PIL del 140%, mentre i “ratio” con cui è stata costruita non possono certo essere definiti come “cauti”. Motivo in più, quindi, per “fare il tifo” per Biden.
Ieri sera il mercato americano si è mantenuto intorno alla parità, seguendo le tracce di quelli europei.
La giornata si apre con l’Asia un po’ “svogliata” (cosa, peraltro, che conferma come le tensioni, ad oggi, si tengano alla larga dei mercati).
A Tokyo il Nikkei ha recuperato la parità; appena negativa Hong Kong, con l’Hang Seng che scende di un modesto 0,15%. Maggiore la perdita per Shanghai, a – 0,77%.
Futures Usa leggermente negativi, mentre in Europa al momento si muovono sulla parità.
In ripresa il petrolio, con il WTI che ha superato i $ 88 (88,35, questa mattina + 1,83%).
Gas naturale sul “filo” dei $ 3 (3,073, -0,36%).
Oro a $ 1.949 (questa mattina + 0,63%).
Spread a 201,2, con il BTP che tocca il 4,90%.
Bund al 2,88%.
Treasury che, nei primi prezzi asiatici, tratta a 4,83%.
Leggera debolezza del $, con €/$ a 1,0584.
Fiammata del bitcoin, che questa mattina tocca i $ 28.673 (ma ieri era arrivato sin verso i $ 30.000).
Ps: l’Italia, con oltre 2.800 santuari, è meta di un diffuso “turismo religioso”, con un contributo importante all’economia del Paese (oltre che, ovviamente, del Vaticano). Un’abitudine che, però, negli ultimi anni sta continuamente diminuendo. Nel 1998, tanto per fare un esempio, sono stati ben 7,5ML i pellegrini che erano stati a S. Giovanni Rotondo, 5 ML quelli che avevano visitato Padova, 4,5 ML Assisi, più o meno gli stessi di Pompei e Loreto. Oggi in testa a questa speciale classifica c’è Pompei, con 3 ML di visitatori, seguita da Loreto, con 2,5 ML e Assisi, con 2 ML, mentre Padova è scesa a 1 ML. Cifre lontanissime da quelle di Guadalupe, in Messico, che l’anno scorso ha visto arrivare 14 ML di turisti, o Aparecida in Brasile (7 ML). Lourdes o Santiago de Compostela, per la cronaca, sono a 5ML.